Diagnosi dell'embrione per fecondazione ad-hoc
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  • 24 Giugno, 2013

Con la tecnica ‘Microarray CGH’ aumentano le percentuali di successo, di Antonio Caperna

Microarray CGHROMA- Diagnosticare in maniera precisa se esistono alterazioni in eccesso nei cromosomi degli embrioni, come le trisomie nella sindrome di Down, o in difetto come le monosomie per la sindrome di Turner. E’ quanto permette la nuova tecnica di diagnosi molecolare, ‘Microarray CGH’, che consente di valutare se gli embrioni di un programma di fecondazione in vitro sono sani o malati. Con questa metodica è possibile studiare l’intero assetto cromosomico degli embrioni, mentre prima si faceva uno screening di una decina di cromosomi, che portavano a sani quegli embrioni che invece erano malati.
«Anomalie in eccesso o in difetto dei cromosomi comportano un mancato impianto nell’utero degli embrioni con una riduzione delle percentuali di successo delle tecniche di fecondazione assistita o aborto spontaneo nel primo trimestre di gravidanza fino ad arrivare all’impianto di feti anomali – spiega il Prof. Ermanno Greco, direttore del Centro di Medicina e biologia della riproduzione dell’European Hospital di Roma (grecoe@hotmail.it) –  La tecnica permette invece successi intorno al 70% e consiste nel prelevare 5-10 cellule dall’embrione sviluppato allo stato di blastocisti da una zona specifica chiamata trofoectoderma, che darà origine agli annessi placentari. Si tratta pertanto di una diagnosi prenatale molto precoce, che non compromette assolutamente l’embrione o le sue capacità d’impianto, perché a differenza di quanto avveniva precedentemente, le cellule di quest’ultimo non vengono coinvolte nel processo bioptico di prelievo.
La tecnica di diagnosi genetica dell’embrione –aggiunge lo specialista- deve essere applicata secondo la società della Riproduzione Europea (ESHRE) a tutte quelle coppie che presentano tre falliti tentativi di impianto embrionario, abortività ripetuta in cui non sono state riscontrate altre cause, età materna avanzata cioè oltre i 36 anni compiuti». Le anomalie genetiche degli embrioni sono dovute nell’80% dei casi ad alterazioni dello stato cromosomico ovocitario, indipendentemente dalla normalità dell’assetto cromosomico di entrambi i partners. Queste anormalità aumentano con l’avanzare delle età materna e sono già presenti in circa il 30% degli ovociti nelle donne di 30 anni. Un’altra novità sono gli studi che valutano se questa tecnica si possa utilizzare anche per le coppie giovani che affrontano per la prima volta la fecondazione in vitro, per aumentare le percentuali di successo e diminuire le gravidanze multiple.

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